
Senza il concorso di cittadini educati in maniera appropriata, nessuna democrazia può rimanere stabile. Lo dice Martha_Nussbaum filosofa e sociologa statunitense.
Affinché la democrazia prosperi, occorrono dunque cittadini educati alle sue regole e alle sue necessità.
L’elenco dei saperi, delle competenze e delle sensibilità necessarie a formare cittadini educati in maniera appropriata, riconduce in sostanza alle materie umanistiche. L’etica, innanzitutto, ma anche la letteratura, la storia, le arti. Questo è ciò che serve ad accrescere il senso civile di una polis in cui individuo e collettività interagiscano per mantenere vivi i valori su cui si fonda una democrazia.
La democrazia è un indubbio valore per noi, eppure non si insiste abbastanza sulla sua preziosità e sull’importanza della partecipazione democratica nelle nostre aule. Pare che la democrazia sia, secondo la storiella attribuita allo scrittore David Foster Wallace, come l’acqua per i pesci. Ci siamo dentro senza saperlo, con indifferenza, inconsapevoli del suo valore. Non basta conoscere le forme di governo; occorre capire come sia molto diverso vivere da schiavi, da sudditi, da uomini liberi; occorre capire cosa sia il Grande Fratello, e come stiamo rischiando di trovarci controllati in tutto ciò che facciamo. Stiamo barattando la libertà con Giga virtuali.
Le caratteristiche fondamentali del buon cittadino democratico, spiega la Nussbaum, sono la capacità di pensare al bene comune e di riuscire a sviluppare l’empatia.
Empatia è una parola sconosciuta come l’acqua dei suddetti pesci. Viene fraintesa con il numero di follower. Un successo virtuale che raramente si traduce in un benessere reale.
Così come è utilizzata da Theodor Lipps, la parola empatia indica l’attitudine al sentirsi in armonia con l’altro/a, cogliendone i sentimenti, le emozioni e gli stati d’animo in sintonia con ciò che egli/ella stesso/a vive e sente. Ricordate il tamagotchi? O il fenomeno hikikomori?
Sarah Konrath dell’università di Stanford, ha elaborato uno studio in cui si dimostra una diminuzione del 40 per cento del livello di empatia tra i giovani negli ultimi vent’anni, in modo particolare negli ultimi dieci. Secondo Sherry Turkle, scienziata del MIT di Boston, questa perdita di empatia è da attribuire in gran parte all’incapacità dei giovani di navigare online senza perdere la cognizione del tempo reale e delle relazioni faccia a faccia.
Lo studio viene citato a pagina 52 di questo libro scritto da Maryanne Wolf.
Il problema su cui ragionare è se l’uso e la dipendenza dai mezzi digitali, rappresentino una grande minaccia per il vivere democratico, oppure se, al contrario, le nuove tecnologie saranno un’occasione per forme di conoscenza e immaginazione sempre più sofisticate, tali da sviluppare nuove prospettive di democrazia. Il dibattito è attualmente in corso.
Il web offre tanto esempi di partecipazione attiva, quanto casi di manipolazione o falsificazione. Definirei empatia digitale la competenza necessaria per comprendere il punto di vista dell’interlocutore online e la sua affidabilità a prescindere dai like: guai se la democrazia si impantanasse in un mero conteggio dei follower come conseguenza all’incapacità di cogliere l’importanza dei valori e delle relazioni sociali.
Però la capacità empatica se ne sta andando. Che ne sarà dell’empatia digitale?
Il ruolo della scuola è di capitale importanza: far comprendere il punto di vista altrui e portare lo sviluppo dell’autentica sensibilità, cioè lavorare allo sviluppo di capacità empatiche. In questo articolo avevo segnalato che a scuola ormai si fa di tutto, a scapito delle materie fondamentali. Potrebbe sembrare contraddittorio, ma non lo è. Imparare, conoscere, scoprire, facendolo insieme agli altri, è un’attività preminentemente scolastica. Ribadisco quanto avevo scritto qui (mi scuso per le autocitazioni): nell’atto formativo la relazione è fondamentale; non solo perché aiuta ad apprendere, ma anche perché insegna l’importanza di fare le cose insieme. Questo è il lavoro della scuola e al tempo stesso è il succo della democrazia.