I fondamentali

Dopo alcuni anni passati nelle aule mi viene sempre più forte il dubbio che tocchi alla scuola il farsi carico dei problemi della società. A scuola si va per imparare. È un’ovvietà così triviale da meritare di essere censurata, lo so. A tavola ci si siede per mangiare e a messa si va per pregare. In ospedale si va per essere curati, al mercato per mercanteggiare, eccetera, fino alle mezze stagioni.

Siamo tutti d’accordo che a scuola si vada per imparare, diciamo che se non è un’ovvietà allora è un assioma.

Imparare cosa? L’assioma entra in crisi.

A scuola si insegna la raccolta differenziata.

Si fa educazione sessuale (spesso, non sempre; e comunque con cautela).

Ci si immerge nelle pari opportunità. Si tirano su ragazzini rispettosi e ragazzine consapevoli.

Si vola alto studiando la comunicazione e tutte le pragmatiche a essa connesse.

Si fanno corsi sul cinema, laboratori di teatro, seminari interculturali.

Si va in gita all’estero.

Si va in tanti (più siamo meglio è!) a fare numero nelle manifestazioni per evitare la figuraccia di una bassa adesione.

Sempre più spesso si finisce in televisione, ma a orari di scarsa audience.

Gli studenti puliscono il mondo, quando è necessario, ed è sempre necessario…

Si potrebbe andare avanti per pagine e pagine elencando cosa si dovrebbe insegnare a scuola. Non esiste iniziativa in cui non sia possibile pensare di “coinvolgere le scuole”.

Dovremmo quindi avere una società composta da cittadini quasi perfetti, educati, attenti, sensibili, bi o trilingui, informati, preparati, competenti.

Io non sono sicuro che sia così. Non vedo questa società intorno a me. E nel frattempo si è abbassato vertiginosamente il livello di conoscenze. La scuola ha smesso di insegnare. Quello che si apprende è uno scibile fragile.

I docenti universitari sono scandalizzati, ormai la lettera dei 600 è già passato (per chi ancora non sa nulla, ecco qui). Un concorso comunale a Orbetello per un posto di direttore amministrativo è stato annullato perché tutti i candidati hanno dimostrato di non avere sufficienti competenze di lingua italiana (qui c’è l’articolo).

Riforme si susseguono a riforme, è tutto un riformare. Esperti si sostituiscono a esperti, Pedagoghi a pedagoghi, psicologi a psicologi, ma nessuno sostiene che ci sia del buono e le cose stiano in effetti migliorando. Non lo sostengono gli insegnanti e non lo sostengono i genitori, in primis. Non lo scrivono i giornalisti. Non lo vedono le aziende e il sistema del lavoro in generale. Non si leggono buone notizie sui media. Soprattutto, gli studenti hanno una voglia di scuola pari al piacere di andare dal dentista.

Tutti, molti, la maggioranza, sostengono che la preparazione è sempre più insoddisfacente, la qualità delle conoscenze sempre più scadente, l’analfabetismo sempre più di ritorno e le tabelline sempre più sconosciute.

In più, manca sempre il tempo, come al coniglio di Alice nel paese delle Meraviglie. Bisogna correre ovunque con i moduli giusti, pure se nessuno ha idee chiare sul dove si voglia arrivare.

Se un alunno sapesse a sei anni cosa gli accadrà nei successivi dieci anni, sarebbero molti di più, la maggioranza, i bambini che punterebbero i piedi il primo giorno di scuola.

Per quanto posso vedere io, dentro e fuori l’ambito della formazione, bisognerebbe bloccare un po’ le cose. Bisognerebbe tornare ai fondamentali: leggere, scrivere e far di conto. Tutti insieme, ché anche per la democrazia la scuola è indispensabile. L’insegnamento ritorni nelle aule, nei laboratori, nelle palestre.

Sono reazionario? Non tornerei indietro su tante cose, ma su questa (e sulla musica leggera) sì. Forse il progresso deve saper tornare sui propri passi quando è evidente che non si è arrivati in nessun posto, come si fa in un bosco prima di perdersi definitivamente.

Non dico che comunicare bene sia irrilevante: è fondamentale.

Non affermo che le pari opportunità siano una cagata pazzesca: sono essenziali.

Non sostengo che cinema, teatro e concerti siano dannosi: sanno creare istanti magici.

Però, dopo. Dopo che abbiamo compreso la grammatica; le quattro operazioni; l’analisi di un testo; l’importanza delle tabelline e della poesie memorizzate; il netto, il lordo, la tara; Micene, Roma, Trafalgar, Auschwitz.

C’è così tanto da sapere prima di iniziare a studiare. È una conoscenza definibile come “i fondamentali”. Qualsiasi sportivo sa che per eccellere è basilare avere fondamenta salde. Non vale solo per lo sport. Fruttero & Lucentini definirono tale competenza come “I ferri del mestiere”, la capacità di scrivere bene, evitando retorica e burocratese.

Chi padroneggia la propria lingua madre e la matematica possiede ciò che gli permetterà di comprendere tutto il resto: la comunicazione, la regia, le pari opportunità, la fisica, l’informatica, l’economia, la filosofia, l’arte.

Torniamo ai fondamentali. Alle paginate di singole lettere messe in colonna, ai quaderni con i quadretti grandi. Ricordo che il primo anno all’istituto professionale trascorsi tutte le ore di laboratorio meccanico a limare. Rifeci gli stessi pezzi cento volte. Quando finalmente consegnavo all’insegnante un pezzo ben fatto, veniva buttato. Ricominciavo da zero con un pezzo nuovo. Non capivo perché, con tutte le mole elettriche presenti in officina, si dovesse sudare nel fare a mano ciò che un’attrezzatura avrebbe fatto più velocemente e meglio. Ora so che stavo riempiendo le mie pagine di lettere e di numeri: imparavo i fondamentali dell’officina meccanica. In seguito avrei compreso meglio il funzionamento delle macchine utensili, di tutte le macchine utensili.

Per comprendere le cose, per vivere meglio in mezzo agli altri, per affrontare i cambiamenti, occorre saperli leggere e interpretare. In altre parole occorre padroneggiare un linguaggio. Dopo sarà più facile costruire un proprio cammino.

Pubblicato da divarioscolastico

Faccio formazione nei CFP e nelle agenzie formative da 15 anni.