La scuola rovesciata

Per me la scuola rovesciata è quella dove gli allievi fanno le domande e gli insegnanti trovano le risposte. Se la scuola diventasse questa cosa, allora avremmo infine raggiunto standard formativi elevati.

In genere, più che di scuola, si parla di flipped classroom, classe rovesciata o capovolta. È una metodologia didattica che sostituisce le classiche lezioni frontali in presenza con una preparazione autonoma a casa da parte degli studenti. Con l’espressione flipped classroom si intende la didattica capovolta in un’aula. Ribadisco che allargo il campo e mi riferisco genericamente alla scuola.

La classe capovolta non mi persuade. Credo mi sia accaduto meno delle dita di una mano che uno studente portasse in aula i suoi studi individuali e indipendenti. Non sono esente da colpe, questo è certo, ma non sono nemmeno un illuso che brucia enormi energie nel tentativo di realizzare in un CFP qualcosa che non ha speranza di compiersi. Se proprio voglio che i miei allievi facciano qualcosa lo impongo, e pure così, con la più antica e severa delle leggi scolastiche, spesso non ottengo il risultato richiesto. Non mi danno soddisfazione nemmeno se chiedo loro di parlarmi del trapper preferito, del videogioco che li assorbe, della serie televisiva che seguono (e quando ci provano a descriverla ne nascono labirinti verbali). Non gliene importa molto, in realtà. Se mai qualcuno leggerà e si straccerà le vesti sarà per ipocrisia o per ignoranza. Esistono sicuramente delle classi capovolte in giro per il mondo, ma esistono anche tartufi da un chilo o rinoceronti bianchi, solo che non sono la norma.

Invece di bruciare energie in attività di dubbio profitto, ritengo che si possa fare molto di più e molto meglio con il vecchio ascolto.

Secondo Stefano Laffi gli allievi dovrebbero: «essere formati come pionieri, e formarsi come pionieri è del tutto diverso. Vuol dire che devi spostare la frontiera della conoscenza. Vuol dire che devi studiare e devi anche imparare a disimparare, come diceva Gregory Bateson. Quindi sostanzialmente, a ricostruire continuamente le regole. Vuol dire che devi essere formato con domande. Non allenato a rispondere come succede a scuola» L’ho copiata dalla trascrizione di un suo TEDx

Ritengo fondamentale chiarire già dai primi giorni di CFP che non bisogna puntare sulle risposte alle domande. Questo non è apprendere, è ripetere. Ed è inutile: le risposte sono tutte sul cellulare e non ha senso (di certo non lo ha per loro) impararle quando c’è un archivio sconfinato e imbattibile. Però sul cellulare non ci sono le domande e sono queste le cartine al tornasole dell’interesse: chi fa domande esiste, vive, c’è. Come diceva Picasso “I computer sono stupidi perché non sanno fare domande”.

Apprendere vuol dire porre domande. La vivacità di un ragionamento si vede dalle domande che genera. Per insegnare a usare la testa, occorre insegnare a fare domande. Chi sa farle ottiene risposte utili. E utili significa “capaci di tirarci fuori dai guai”, capaci di risolvere qualche problema, grosso o piccolo.

Ma la curiosità è una brutta bestia da gestire: ci destabilizza, ci mette in crisi, ci fa fare brutte figure. Abbiamo paura della sindrome dell’impostore viviamo nel terrore di essere smascherati.

Forse per questa ragione ci focalizziamo sulle risposte corrette, sulle nozioni, sulle regole euclidee o grammaticali: sono un conforto soprattutto per noi, sono una quantità misurabile e dimostrabile. È un’attività che serve ai controllori, ai censori e ai geometri della formazione, ma per i ragazzi è ormai inutile. Le risposte le ha tutte Google che peraltro è capace anche di correggere le domande sgrammaticate.

Le lezioni in cui le nozioni cadono da una direzione verso l’altra sono le più noiose; interminabili anche per l’insegnante. Le più memorabili sono invece quelle in cui c’è partecipazione, curiosità, voglia di sapere. Qui le domande sono quasi sempre vere, sono oneste, c’è curiosità sincera. E c’è anche fiducia. Credo che un’allieva che fa domande e poi ascolta ciò che accade, sia una ragazza fiduciosa, un ragazzo che chiede chiarimenti ha uno schema in testa. Se si affidano a noi possiamo portarli dove serve, spostando più avanti la frontiera della conoscenza.

Pubblicato da divarioscolastico

Faccio formazione nei CFP e nelle agenzie formative da 15 anni.