Lettera

Koyasan

Un giorno mi dirai cosa è successo. Sono convinto che me lo racconterai, guardando in basso, avvicinandoti e allontanandoti da me mentre parli in modo confuso, ma onesto: alla tua età è inevitabile essere confusi quando si parla di sé. Ma spesso – non è il tuo caso – si è anche poco onesti.

Ho dato un tema, ne ho dati quattro, su argomenti diversi. Uno riguardava lo stage che hai appena terminato. Chiedevo di raccontare cosa era accaduto, con chi, dove, cosa avevi fatto. Accade quasi sempre che due tracce non le faccia quasi nessuno. In genere la maggior parte delle scelte si concentrano su due soli argomenti tra i quattro. Buona parte dei tuoi compagni ha scelto proprio di parlare dello stage.

In qualsiasi classe di solito due ore sono più che sufficienti per redigerlo. Non nella tua: in tanti non riuscite a finire di ricopiare la brutta copia. Per me è un buon segno. Lo leggo come prova del fatto che ci mettete dell’impegno.

Tu la “brutta” non la scrivi mai; mi restituisci sempre un foglio abbastanza pasticciato, con cancellature, con asterischi che rimandano, con parole di chiarimento inserite nell’interlinea, tra una parola e l’altra.

Questa volta, però, mi hai consegnato il foglio in bianco. Non proprio in bianco. Nome e cognome, classe, data, titolo del tema. Poi uno scarabocchio che cancellava due righe e mezza di tema.

Nessuna traccia ti ispirava, mi hai detto.

Hai passato due ore a combinare pasticci sul banco (il tuo banco è sempre un bazar: quando suona la campanella di uscita devo sempre aspettare che tu rimetta tutto in cartella prima di poter chiudere l’aula), ad alzarti per andare a gettare qualcosa nel cestino, ad agitarti sulla sedia, a lamentarti dell’insignificanza delle tracce.

Cerco di immaginare cosa ti è successo. Hai il cuore in disordine, come il banco. Me l’hai detto tu qualche giorno prima. Ma non mi hai raccontato perché; ci hai provato, ma avevi troppo da dire e ti sei bloccato. Non trovavi le parole giuste. Affermavi e subito dopo negavi, dicevi e ti contraddicevi, partivi con una frase e la deviavi, o la abbandonavi. Hai lasciato la spiegazione accartocciata come i fazzoletti che gettavi nel cestino. Hai lottato con il linguaggio, ti sei accorto che provi cose che non riesci a raccontare.

Forse eri anche un po’ offeso con me perché ti ho impedito di ascoltare musica con le cuffiette. Lo impedisco a tutti, mica solo a te. Non voglio che vi isoliate per concentrarvi. Voglio che vi dedichiate alla parole da scrivere senz’altro, concentrandovi su ciò che scrivete, concentrandovi su voi stessi. Vorrei che imparaste ad ascoltarvi, non a essere l’eco di musica altrui. Voglio che facciate le cose in mezzo agli altri, con gli altri, non da soli, separati dal mondo tramite auricolari.

Avrei potuto aiutarti, come ho aiutato altri. Ma credo che non l’avresti accettato.

Avrei potuto aiutarti, ma ho preferito non farlo affinché tu potessi affrontare la tua lotta interiore e ne uscissi fuori in qualche modo.

In questo caso sei stato sconfitto dalla tua burrasca. E il tuo non-tema sarà un brutto voto. Non sono preoccupato e vorrei che non lo fossi nemmeno tu. Le sconfitte insegnano più delle vittorie. Continua a combattere, hai la stoffa per diventare un eroe.

Pubblicato da divarioscolastico

Faccio formazione nei CFP e nelle agenzie formative da 15 anni.