Perché studiare la storia

Una volta che si impara ad andare in bicicletta, non lo si dimentica più. Se abbiamo imparato ad usare la bici senza cadere è perché abbiamo capito che potesse essere utile e divertente. Inizialmente siamo caduti, ci siamo sbucciati le ginocchia, c’è stato del dolore. Abbiamo resistito, siamo andati oltre quella sofferenza e oggi pedaliamo per spostarci e per svagarci.

Anche imparare a parlare non deve essere stato facile, ma non ci ricordiamo più gli sforzi che abbiamo fatto. Prima di iniziare a parlare avevamo poche opzioni per esprimere i nostri desideri, il pianto, il riso, il disgusto, l’approvazione. Dopo che ci siamo impadroniti della parola sono aumentate le nostre possibilità espressive e, in genere, per buona parte della vita cerchiamo di potenziare le nostre competenze linguistiche per raggiungere obiettivi più complessi. E, salvo traumi neurologici, non disimpareremo l’uso della parola se continueremo a usarla.

Abbiamo imparato che l’acqua bollente è pericolosa. Abbiamo capito qual è la giusta fermata dell’autobus per andare a scuola, al lavoro, per tornare a casa. Abbiamo capito quale sia il nostro gelato preferito e se ci piace di più il mare o la montagna.

Abbiamo fatto esperienza, quell’esperienza che ci aiuta a vivere perché ci semplifica le faccende quotidiane. Disimparare tutto questo sarebbe un’enorme sventura. Torneremmo bambini. Tutti rimpiangiamo la nostra infanzia, ma non era così quando eravamo davvero fanciulli. I bambini detestano il fatto di non essere grandi. Ciò che noi davvero rimpiangiamo è la nostra idea di infanzia, cioè l’idea dell’essere bambini che ci facciamo da adulti. Ma nessuno vorrebbe davvero ritornare a essere marmocchio in tutto e per tutto, vale a dire con la limitata esperienza e con la ristretta autonomia di un bambino.

Penso che la storia sia un percorso di esperienza simile alla crescita e penso inoltre che lo studio della storia sia il sapere più importante dell’uomo dopo, naturalmente, lo studio della lingua madre e della matematica.

Che la storia sia maestra di vita è vero, ma è una formula che non convince i nostri allievi. Non capiscono come la vita e le azioni di Garibaldi, o di Carlo Magno, possa avere influenza su di loro, oggi. Cosa gliene frega, a loro, del Sacro Romano Impero. Rappresenta date scomode da ricordare e territori che non sarebbero in grado di identificare.

Fino a che non li convinceremo che la storia è all’origine delle loro scarpe, dei loro cellulari, del loro motorino, non riusciremo a convincerli a impadronirsene. Le vistose scarpe che indossano sono il frutto di una somma di saperi accumulati nel tempo: se i costruttori di scarpe non potessero avvalersi dell’esperienza del passato – il proprio e l’altrui – saremmo ancora ai calzari. Se dimentichiamo cosa è stata l’inquisizione, il sacco di Roma o lo stalinismo rischiamo di piombarci di nuovo dentro.

Accanto alla somma di esperienza che diventa memoria possiamo naturalmente aggiungere le ragioni che solitamente si portano per giustificare lo studio della storia:

Comprendere le cause che fanno accadere ciò che accade.

Ricercare e perseguire, per quanto possibile, la verità.

Perché esistono delle responsabilità, delle conseguenze a ogni nostra azione.

Per riuscire a comprendere quelli che sono stati errori fondamentali.

Per continuare il progresso.

Per non dimenticare chi siamo e perché siamo diventati questa nostra particolare società.

Perché chi non ha memoria, non ha una base solida su cui operare nella vita di tutti i giorni.

Per capire dove vogliamo andare.

Per ricordare l’orrore di Hiroshima.

Per non cadere preda di maghi e fattucchiere, di venditori di frottole e cialtroni.

Per non farsi ingannare da notizie infondate.

Perché nessuno vorrebbe rinunciare alla propria vita passata.

Per imparare a formulare le domande giuste.

Per imparare a stare al mondo.

Studiare la storia non vuol dire perdere tempo su fatti ormai accaduti e sepolti sotto secoli di polvere. Vuol dire piuttosto fare tesoro dell’esperienza passata alla quale aggiungere il nostro minuscolo e personale contributo.

Pubblicato da divarioscolastico

Faccio formazione nei CFP e nelle agenzie formative da 15 anni.