Ragazzi arrabbiati

I miei allievi sono quasi tutti maschi. Insegnare italiano ai maschi è meno agevole rispetto a insegnarlo alle ragazze perché il ragazzo che sceglie di frequentare un istituto professionale è in genere orientato al lavoro più che alle materie umanistiche. È così anche per le ragazze, ma in una ragazza non è mai del tutto spenta la fiammella delle scienze umane.

Per ottenere disciplina, intendo un livello di disciplina accettabile per poter fare lezione, talvolta occorre fare la voce grossa. Ogni tanto la si spunta, ma spesso non c’è nulla da fare. Se un ragazzo non accetta le regole della scuola o lo si caccia, o lo si sopporta.

Cacciarlo è una sconfitta per tutti. Sopportarlo è una sconfitta per chi pensa che frequentare una istituzione formativa debba portare a un risultato positivo.

Ho letto questa notizia di un’insegnante colpita da un pugno in faccia da parte di un allievo che stava usando il telefonino durante un’ora di lezione. Lei lo aveva, giustamente, ripreso scatenando la rabbia del ragazzino. Una rabbia forte e apparentemente insensata.

Mi dispiace molto per la collega. Nella sua descrizione degli eventi ho letto la frustrazione che spesso mi prende dopo lezioni nelle quali, invece di insegnare, ho finito per fare il collettore, il destinatario, il domatore della rabbia dei ragazzi.

Insegnare non dovrebbe essere questo.

Con preoccupante frequenza leggo di genitori in difficoltà o in pericolo con figli violenti, di ferrovieri o autisti di mezzi pubblici aggrediti da adolescenti, di educatori e assistenti sociali che rischiano la propria incolumità. A ciò aggiungo tutti gli episodi di bullismo nelle sue varie e numerose forme.

Sono convinto che sotto il profilo dell’aggressività fisica ci sia ancora una differenza marcata tra ragazze e ragazzi. Le ragazze sono più sottili, usano meglio le parole, sono capaci di pungere. I ragazzi quasi mai. Non sono capaci di usare la parola, frequentano un istituto professionale anche per questo motivo. Usano altre forme di comunicazione, forme che spaventano, soprattutto le colleghe. In genere un maschio ha maggiore familiarità con la fisicità di un altro maschio, proprio come una donna ha maggiore capacità di cogliere le sfumature di un’insinuazione femminile.

Purtroppo tanto le ragazze quanto i ragazzi non ci stanno più, non accettano più le regole, non sopportano le frustrazioni, non riescono a investire in rinunce immediate per un vantaggio futuro.

Possiamo dare la colpa alla società del possesso, ai genitori sempre più assenti e narcisi, a un corpo insegnante composto prevalentemente da donne (e perciò in difficoltà con il linguaggio fisico dei maschi). Sicuramente tutto questo ha un certo peso.

Quando mi domandano che lavoro faccio rispondo che sono un domatore di adolescenti. Esagero, lo so. Ma per me l’adolescente ha una forza e un’energia che spesso, seppure non sempre, possono venire canalizzate in qualcosa di costruttivo. Bisogna però sapere che davanti a noi ci sono dei fasci di energia che deve essere trattata con cautela, con rispetto, con benevolenza. È un’energia che molte volte non riesce a essere gestita nemmeno da chi la esprime.

Un adolescente rabbioso non lo si blandisce con le parole: nemmeno le sente, le parole. E neppure lo si indurrà alla ragionevolezza con l’autorità. Probabilmente è proprio una cattiva autorità ad averlo portato a quello stato di rabbioso rifiuto.

Un’adolescente arrabbiata non ha bisogno di parole, ha l’antidoto contro ogni nostra formula verbale. Entrambi – ragazze e ragazzi – hanno bisogno di gesti di decompressione, di esempi non autoritari o manipolatori, hanno bisogno di essere affiancati e riportati a scuola, ma con cautela: legarli a una catena di doveri non risolve le cose, usare l’indifferenza dell’abbandono neppure.

Dare consigli, sostenere tesi, suggerire buone prassi è in genere difficile e comunque lo è per me. Ho visto che può funzionare diventarne il capobranco, essere accettati non per le regole imposte, né per la complicità da occhiolino. Occorre essere un esempio in cui vedano una via d’uscita onorevole, non umiliante. Una guida che sappia stare in mezzo alle difficoltà della vita senza venirne sopraffatta. Il loro mondo è spesso, anche se non sempre, pieno di perdenti arrabbiati o frustrati e loro stanno cercando un’alternativa cui affidarsi. Se c’è altro non l’ho ancora compreso, ma ho visto la docilità, la riconoscenza e l’interesse che saranno poi capaci di esprimere. È complicato descrivere il senso di gioia e di fiducia che prova un formatore uscendo da una classe “difficile” dopo un’ora di lezione proficua: è un carburante che dura a lungo.

Pubblicato da divarioscolastico

Faccio formazione nei CFP e nelle agenzie formative da 15 anni.