Ridere

Ridere

A fine anno scolastico la stanchezza aumenta. Si accumulano scadenze, riunioni, lezioni e riparazioni in extremis, cui si aggiungono frustrazioni e insofferenze varie.

Anche per gli allievi. Qualcuno è sereno, sa che non avrà problemi. Altri sono incerti sulla loro sorte, ma combattivi. Alcuni sono disperati, o rassegnati. Qualcuno, non molti, ostenta indifferenza. Forse ha già deciso che mollerà. O spera nella buona stella. Poi ci sono quelli arrabbiati e infine quelli che sono sempre stati arrabbiati, già nel corso dell’anno, a prescindere dai risultati formativi.

Sono avversi a tutto. E non lo nascondono.

Sputano veleno come hanno fatto spesso durante i mesi precedenti. Chi sputa veleno in genere lo fa perché sa di non poter fare molto altro, o non ha il coraggio di fare molto altro. Durante l’anno abbiamo risorse per reggere. Ci si trattiene, si mettono in atto contromisure più o meno efficaci, si sanziona, si sospende, si tira avanti.

Dopo nove mesi le batterie sono in riserva. E poi manca il tempo. Talvolta viene voglia di togliersi qualche sassolino, cosa che si sa essere sbagliata, inutile, controproducente. Ma tant’è. Anche fumare è sbagliato. Usare l’auto per brevi tragitti. Bere acqua minerale in bottiglie di plastica. Fare pettegolezzi. Eppure a volte sono cose che accadono. Non: sempre; a volte.

Così può accadere che all’ennesima provocazione un formatore non si trattenga. Se poi la provocazione mette in dubbio l’efficacia del lavoro svolto, allora la reazione diventa meno controllabile. A un professionista, non importa di quale settore, non bisognerebbe mai dire che non sa svolgere il suo lavoro. È una critica indigesta, soprattutto se rivolta a chi il proprio lavoro lo ama. Si finisce spesso a litigare, anche tra adulti.

Non mi scandalizza quindi che una collega abbia tirato un calcio al banco di un allievo che la accusava di fare un lavoro inutile. È estate, la collega aveva dei sandali, non le scarpe antinfortunistiche: non ha sferrato un calcio, ha dato un calcio a una gamba del banco con il piede dentro a un sandalo.

Poi, però, era sconfortata. Sapeva di aver fatto la cosa sbagliata e me ne parlava sentendosi in colpa. Provava rabbia e frustrazione. Aveva ceduto a pochi giorni dalla fine delle lezioni. Cercava una consolazione, la classica parola di solidarietà.

Un formatore sa che non esistono parole di conforto, in questi casi. Il danno è fatto. E la pena la si sconta giorno per giorno, fino alla metabolizzazione. Pure se non è successo nulla di irreparabile.

Soluzioni? La risposta migliore sarebbe sanzionare senza perdere l’aplomb ma, a fine anno, a che serve sanzionare? In alternativa bisognerebbe aspettare, l’occasione arriva con il tempo. I provocatori si cacciano sempre in qualche vicolo cieco ed è sufficiente aspettare. Ma a fine anno… Una possibilità sarebbe quella di avere la battuta pronta e lasciarlo seduto davanti a tutti i suoi compagni. Un colpo secco che dimostri la superiorità dello spirito e susciti ilarità nella classe. Propendo per questa soluzione.

Farli ridere funziona. Funziona durante l’anno per alleggerire le lezioni. Funziona per acquisire un ascendente di positività con gli allievi. Per non arrabbiarsi. Per sgonfiare l’acredine dell’allievo incavolato. Per ricordare a tutti, e a quell’allievo in particolare, che l’ironia è una maniera intelligente di accettare situazioni fastidiose.

L’ironia è una competenza che può essere insegnata o appresa? Vorrei poter rispondere di sì, ma temo che sia no.

La parola ironia significa “dissimulazione”, mascherare le proprie intenzioni, dicendo spesso il contrario di ciò che vorremmo dire realmente. Serve autocontrollo, prontezza di spirito. Il giornalista e scrittore Beppe Severgnini afferma che “L’ironia, insieme alla misericordia, è la forma suprema di elasticità, un esercizio quotidiano di tolleranza, una prova continua di umanità.”

Un po’ di ironia mantiene vivo il nostro essere umani, aiuta a sviluppare l’umanità dei ragazzi. E l’autoironia – strumento supremo di seduzione didattica – rende anche più forti.

Cosa si può rispondere a un allievo che mette in dubbio l’utilità e la professionalità del nostro lavoro?

Risposta 1: Hai ragione, non valgo niente, ma l’idea di annoiarti mi diverte un sacco.

Risposta 2: Stai buono, ché sono geniale: valgo niente però riesco a farmi pagare!

Risposta 3: Taci, zuccone.

Risposta 4: Dovresti essere a Oxford, lo so, ma vuoi risparmiare sul viaggio, dunque accontentati.

Risposta 5: E te ne accorgi adesso? Anche tu non sei poi così sveglio.

Risposta 6: Pensa che quando hanno saputo che insegno, i miei genitori hanno cambiato il cognome.

Risposta 7: Non avere fretta, diventerai presto inutile anche tu.

…e così via. Se ve ne vengono in mente, sentitevi liberi di aggiungere!

Pubblicato da divarioscolastico

Faccio formazione nei CFP e nelle agenzie formative da 15 anni.