Umiliazione

Sì signor direttore, ho interferito con l’azione correttiva di un collega.

A dire il vero non avevo esattamente quell’intenzione. Ho imparato che interferire con le azioni correttive altrui è un doppio errore.

Ho solo chiesto al ragazzo perché fosse a scuola in un pomeriggio in cui non avrebbe dovuto esserci. Mi ha detto che è stato chiamato dal tutor del suo corso. Gli ho chiesto cosa stesse facendo e mi ha risposto che non stava facendo niente. Un’attesa indefinita era parte della punizione. Avendo il ragazzo in classe so che è meglio non insistere. È uno del tipo “Vivi e lascia vivere” Non un lupo solitario, piuttosto un gatto. Si trova bene con chi è come lui: svogliato, indifferente, non gli è chiaro cosa vorrà fare, a volte partecipa, spesso chiacchiera, accade che si addormenti durante la lezione. Abita sempre nell’ultima fila di banchi. Assenze un po’ sopra la media. Come un gatto ogni tanto resta fuori a cacciare lucertole e merli. Prende boccate d’aria rigeneranti per il suo stato d’animo.

Frequentava un’altra scuola prima di arrivare al CFP. Ma neppure in questo caso ha azzeccato la scelta; probabilmente perché per lui non c’è la scelta azzeccata: è proprio il mondo scolastico a lasciarlo indifferente. Gli passa attraverso come un neutrino, lui non fa resistenza, non fa opposizione, non si agita, non si accende mai, nemmeno quando partecipa. E quando partecipa pare che lo faccia perché è di animo buono, indulgente verso gli sforzi che fa l’insegnante. Pare voglia farmi capire che partecipa all’inglese, con misurato impegno.

Il ragazzo-gatto stava seduto in un banco del laboratorio. Non faceva niente e forse non poteva proprio fare niente. Stava lì, seduto a un banco vuoto a guardare scorrere il tempo.

A me pare che del tempo degli altri non si debba abusare e devo aver abbozzato un’espressione di disapprovazione con il viso. O con il corpo, non so. Credo che lui se ne sia accorto, ma non sono sicuro. Comunque sono uscito dal laboratorio. Non si interferisce con le punizioni di un collega, questo l’ho imparato.

Un po’ dopo (venti minuti…, mezz’ora?) era fuori dal laboratorio e c’era anche sua madre. La madre del ragazzo era palesemente arrabbiata e lui mi sembrava in difficoltà.

Signor direttore, io credo che mettere in difficoltà un allievo come lui sia difficile, gli eventi lo attraversano senza colpirlo. Ritengo però che la sua temporanea difficoltà fosse dovuta più alla presenza della madre che alla punizione prospettata dal collega. Deve volere bene a sua madre. Mi sembra tutto sommato un segno positivo.

Comunque ho sbagliato, riconosco di avere sbagliato. Non dovevo avvicinarmi e, soprattutto, non dovevo sforzarmi di alleggerire la tensione del momento. Ma sa, direttore, quando un gatto chiede aiuto con gli occhi è difficile resistere. Quindi mi sono avvicinato con pacatezza nel tentativo di rassicurare sia lui, sia sua madre.

Cosa sia avvenuto non lo so, signor direttore, ma il ragazzo si è messo a piangere. Sono rimasto molto imbarazzato. Piangere a diciassette anni, farlo davanti alla propria madre e a qualche compagno di scuola di passaggio, non deve essere semplice. Mi dica lei cosa avrei dovuto fare. Io ho farfugliato qualche parola di incoraggiamento, devo avergli detto che tutto si aggiusta e di stare il più possibile tranquillo e sereno.

Forse avrei potuto fare meglio. Solo che è subito arrivato il collega, sì, quel collega che le ha riferito questo fatto, e mi ha detto che non devo ammorbidire le punizioni inflitte da lui. Mi ha redarguito, a dire il vero.

Le garantisco che non volevo interferire. Le domando come avrei potuto vedere quel gatto piangere e non cercare di stargli vicino almeno un po’. Io non riesco a pensare che se l’è cercata. Ha tagliato, è vero. Non è un allievo modello ma non è nemmeno uno stronzo, non impedisce le lezioni. È un adolescente che ha fatto qualche minima sciocchezza. Ma è normale che un diciassettenne faccia qualche stupidaggine, che diamine!

Al collega ho spiegato che per me non era questione di mettere in dubbio la liceità della punizione. Io volevo solo consolare un essere umano in difficoltà, certo non volevo insegnare a lui il mestiere di tutor. Ma lui non mi ha lasciato spiegare e se n’è andato. Chissà… se avessi avuto un mattone in mano magari glielo avrei tirato in testa. Ma non è mia abitudine andare in giro con mattoni in mano.

Può darsi che io corra troppo con l’immaginazione, ma ho la sensazione che quel tutor mal sopporti il fatto che il gatto del suo cortile si lasci accarezzare da qualcuno diverso da lui. Ma forse questo è un pensiero esageratamente malizioso. Un pensiero un po’ meno malizioso mi fa dire che preferisco la compagnia degli allievi a quella di simili colleghi.

Sa, direttore, ancora mi stupisco di avere colleghi che non capiscono come comportarsi con gli allievi-gatto. È sufficiente trattarli di conseguenza: loro non disturberanno e si avvicineranno seguendo i propri tempi.

Non vorrei pensasse che secondo me non si debba riprendere chi ha sbagliato. Non è questo il punto. Chi infrange il regolamento deve scontare la pena, mi sembra giusto. Ma l’umiliazione è una punizione controproducente. Più di ogni altra sanzione aliena le possibilità di ottenere simpatia, considerazione e partecipazione, qualità indispensabili nel gestire una classe. Non si deve portare al pianto un adolescente in lotta con il proprio malessere. Lo spieghi lei a quel collega, per favore.

 

 

Pubblicato da divarioscolastico

Faccio formazione nei CFP e nelle agenzie formative da 15 anni.