Deserto in classe

Insegno in sette classi. Ogni classe è una storia a sé. Ogni tanto provo a confrontare le classi del passato con quelle del presente. È un esercizio che potrebbe servirmi per ritrovare vecchie esperienze, passaggi già percorsi, appigli risaputi, ma non mi è mai accaduto di trovare somiglianze tra una classe e un’altra. Ogni classe è un’esperienza inedita, mai accaduta prima; di più: ogni singola lezione si srotola come se fosse la prima volta, pure se ho già trattato l’argomento negli anni precedenti. Nella formazione non si può, per ora, parlare di standardizzazione. La lezione, qualsiasi lezione, prende una forma che non ha precedenti.

Una classe tra quelle sette è svogliata. La svogliatezza si manifesta in forme diverse. Qualcuno si appisola, qualcuno cerca di inviare messaggi, altri fanno i compiti a casa o copiano dal secchione l’esercizio che non hanno capito. Talvolta lo tollero, talaltra lo impedisco. Più spesso permetto un paio di disattenzioni e poi, magari con una battuta, faccio presente che non è il caso. Anni fa, in situazioni analoghe, potevano nascere tensioni, ma ormai ho più o meno capito come fare senza che nessuno si offenda o si arrabbi. Non c’è un metodo che funzioni sempre, ma ci sono discrete possibilità che funzioni nella maggior parte dei casi. So che non dovrebbe essere così, ma so pure che se non faccio così divento la mano inflessibile della legge. A 16 anni la legge è indigeribile. Non la si impone, la si propone. In questo modo può succedere che ne accettino le regole. Sono piccoli passi avanti.

In questa particolare classe svogliata, refrattaria alla lezione frontale, indifferente a ogni argomento che non sia la triade donne, calcio, videogioco, ho proposto di creare un breve video su una lezione che ci avrebbe coinvolti nel mese successivo. Ho portato esempi di cosa avrei voluto, di cosa non avrei voluto, ho cercato il materiale tecnico per fare i filmati, ho suddiviso i compiti in accordo con loro, ho cercato di fare in modo che tutti avessero un compito da svolgere. E dopo ogni ora trascorsa con loro, tra me e me analizzavo, ponderavo, modificavo ciò che era stato fatto per cercare di migliorare il progetto.

Ho messo a punto un metodo semplice vista la mia scarsa competenza in merito. Una tabella in cui da una parte si indicavano i contenuti e dall’altra i tempi di durata. È uno strumento grossolano, vecchiotto, forse anche ridicolo; nelle mie intenzioni si trattava solo di un punto di partenza.

Dopo ogni lezione li invitavo (un invito, si noti bene, non un obbligo) a portarmi il loro contributo alla realizzazione del video. In due mesi ho ricevuto una mezza dozzina di contributi che non facevano altro che riprendere le mie lezioni. Sono arrivati dai secchioni, dai gentili (coloro che cercano di aiutare l’insegnante), dai soliti noti.

Creatività zero, ma pazienza. La creatività è una bestia difficile.

Colpa mia, mi sono detto. Non sono stato sufficientemente chiaro. Ho rispiegato tutto quanto. Ho fatto una verifica in aula per vedere cosa avessero capito, ho riproposto video, abbiamo fatto un video di prova su uno strumento tecnico che usano abitualmente. È venuto fuori un filmato inguardabile, ma mi è sembrato un passo avanti.

Dopo questa specie di revisione, li ho obbligati a portarmi un contributo scritto. A mano o al computer. Ho dato loro una settimana di tempo. Qualcuno non ha fatto nulla. Altri hanno fatto un lavoro banalissimo e due hanno avuto un’idea. Due. Coloro che non mi hanno portato nulla si sono giustificati con le solite formule: non ho Internet, ho rotto il pc, non ho capito cosa dovevo fare, il giorno in cui lei ha dato il compito io ero assente, l’ho dimenticato a casa.

In genere scherzo anche su tali sciocche panzane. Invece oggi sono diventato furibondo. Ho distribuito sanzioni, ho gelato l’atmosfera e ho sospeso il progetto. Ho detto loro che sono più morti degli zombie, che saranno carne da macello, che si comportano da bambini. Ho fatto una ramanzina tesa e tagliente per un’oretta. Mi guardavano increduli, con espressioni da cui traspariva la domanda: “ma perché ce l’hai con noi? che ti abbiamo fatto?” Tuttavia per un’ora nessuno ha fiatato. Non hanno dormito e non hanno usato il cellulare.

La scuola normale non vi piace, ma la scuola alternativa non la praticate. Che tipo di lezione devo fare – ho domandato – per risvegliare non dico l’interesse, ma un minimo di partecipazione? Due idee, due su ventisei teste. Avrei volentieri messo dell’habanero rosso nelle loro merendine.

Qualcuno potrà dire che due idee sono già qualcosa. Due idee in due mesi. Altri potrebbe dire che ho chiesto troppo o che non è colpa loro se li hanno ridotti a possedere un encefalogramma piatto. Piuttosto io dovrei sforzarmi di capire che in un CFP il cervello sia un organo secondario rispetto alle mani e alla manualità. Però non posso accettare questi discorsi, non riesco, non voglio. Se non imparano a usare la testa non troveranno un lavoro e se lo troveranno, rischieranno di vederselo sottrarre da un robot. Quale che sia il lavoro svolto, la testa resta lo strumento migliore.

Ho cercato di farli riflettere su ciò che faranno domani, tra un anno, tra cinque. Non ho ricevuto un cenno, un’emozione, un commento. Nemmeno un insulto. Niente. L’unica soddisfazione è che nessuno mi ha chiesto di andare in bagno.

Alla fine ho ammesso che delle sette classi in cui faccio lezione, la loro è l’unica in cui entro malvolentieri. “Mi sembra di entrare in un deserto, non c’è il minimo segno di vita” ho detto. “Con voi non mi diverto”.

Ebbene, ho sbagliato, ho commesso un brutto errore. Non per via del risentimento che ho rovesciato su di loro, non tanto e non solo per questo. Ma perché ho detto che nella loro classe non entro volentieri. Questo è stato crudele e inutile.

Ora dovrò recuperare. Spero mi diano qualche idea.

Pubblicato da divarioscolastico

Faccio formazione nei CFP e nelle agenzie formative da 15 anni.