Felicità

Stavo facendo una lezione di storia. Raccontavo con molta semplificazione alcuni aspetti della rivoluzione industriale e di come questa abbia modificato la vita degli stati e delle società.

Spiegavo com’era il lavoro umano prima della rivoluzione e come lo sviluppo della forza meccanica avesse trasformato – alleggerendolo – il peso del lavoro. Il genere umano cerca sempre di migliorare le proprie condizioni di vita, dicevo, la storia è anche questo, progresso, sviluppo, cambiamento. Sull’importanza della storia nell’educazione e nello sviluppo della personalità si potrebbero contare milioni di pagine.

Poi, non ricordo come ci sono arrivato, ho detto che il fine terreno degli uomini è sempre stato la ricerca della felicità. Si è trattato di un’affermazione filosoficamente discutibile, è indubbio, ma la filosofia entra raramente nelle aule di un CFP e nessuno ha contestato la mia affermazione (che, lo so, lo ribadisco, era spregiudicata).

Per i ragazzi di un centro professionale la storia è una disciplina da studiare, da capire, da memorizzare. È una rottura, non un percorso tortuoso alla ricerca della felicità.

Un paio di loro, forse tre, hanno sollevato un sopracciglio. Che c’entra adesso la felicità. La felicità sono i soldi, la fidanzata, gli amici, la presenza dei genitori, lo scudetto alla Juventus. Ma non la storia. La felicità è una faccenda da social, mica una questione scolastica.

Quando i ragazzi mi contestano è un piacere. C’è qualcosa che si muove. Bastano minimi movimenti di sopracciglia che mi butto.

Viene fuori che nessuno ha mai parlato loro di felicità. Non hanno mai detto loro che il lavoro è uno strumento per essere felici e che la scuola è un passaggio attraverso il quale si cerca di raggiungere la felicità. Il lavoro serve a campare e chi non ce l’ha campa male. Non si sono mai resi conto che la fidanzata, la famiglia, gli amici (e i soldi, hanno aggiunto) non sono altro che sforzi e tentativi per accrescere la propria soddisfazione, cioè per approssimarsi alla felicità. Come il lavoro, va da sé. Lo scriveva Primo Levi ne “ La_chiave_a_stella”: Se si escludono gli istanti prodigiosi e singoli che il destino ci può donare, l’amare il proprio lavoro (che purtroppo è privilegio di pochi) costituisce la miglior approssimazione concreta alla felicità sulla terra: ma questa è una verità che non molti conoscono.

Nessuno, a scuola, ma nemmeno altrove, parla mai di felicità con loro. Semmai è un concetto televisivo, un’ipotesi pubblicitaria, una definizione da canzonetta. Ma non un argomento di cui parlare durante l’ora di storia. Scuola e felicità sono due ingredienti che non possono essere associati.

Forse anche per questo la scuola è diventata ai loro occhi un luogo insensato e sconfortante. A scuola si insegnano formule, date, nozioni, tecniche; nessuno suggerisce che l’obiettivo di tutte le ore su banchi e laboratori è quello di avvicinarsi alla felicità. Non si dice mai che una cosa ben fatta è quella che mira alla felicità.

Mi sforzo di ricordare il mio passato nei banchi e non mi vengono in mente insegnanti che mi abbiano parlato della felicità. Quasi fosse una bestemmia.

Forse bisognerebbe partire da qui, fin dal primo giorno di scuola. Siete qui per essere felici, dovremmo dire come saluto. Tanto, il primo giorno di scuola, nessuno, o pochi, sono così temerari da contraddire il professore.

Bisognerebbe dire loro che ci troviamo lì, tutti insieme, per avvicinarci a una vita migliore, che l’unico miglioramento indiscutibile è quello che ci porta più vicino alla felicità. Che poi la si possa raggiungere, questo è un altro discorso. Ma è possibile provarci, anche a scuola.

Pubblicato da divarioscolastico

Faccio formazione nei CFP e nelle agenzie formative da 15 anni.

2 Risposte a “Felicità”

  1. Leggere questo pezzo mi ha fatto avanzare verso la felicità, anche solo per il tempo che ho impiegato a leggerlo. Grazie prof

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