Bugie

In una classe c’è un ragazzino abituato a raccontare balle. È minuto, abbastanza curato nell’abbigliamento, con un volto simpatico da cartone animato. Ha sempre una giustificazione pronta per ogni dimenticanza, per ogni stupidaggine, per ogni mancanza. Ha l’esigenza costante di ottenere un bonus di tolleranza che gli conceda di rappresentare l’eccezione, il caso peculiare giustificato nella sua unicità. Ragazzi così non sono infrequenti: sembra che la menzogna sia una parte costitutiva del loro essere. Cerco di far capire loro che la credibilità di un professionista passa anche attraverso una comunicazione trasparente, oltre che dal rispetto degli accordi. Ma non serve a molto.

Ho smesso da un pezzo di dare credito a M. – spesso, anzi, mi tocca pure difenderlo dagli attacchi dei suoi compagni di classe che lo sopportano sempre meno – tuttavia chiudo un occhio quando lo vedo lontano dalla lezione, se posso evito di fornirgli occasioni per mentire. Però continuo a domandarmi perché non riesca a conformarsi alle poche regole comportamentali che cerco di far valere nelle mie lezioni.

Qualche giorno fa ho riconsegnato i temi in classe corretti. Sarà una pratica arcaica, ma voglio che un tema venga ricopiato: in questo modo vedono gli errori, ripensano a quanto hanno scritto e si esercitano nello scrivere a mano, cosa che, come ho già sottolineato, ritengo molto importante.

Tutti iniziano a ricopiare (mugugnando, sia chiaro). Vedo M. che scribacchia, perde tempo, cerca di distrarsi. Gli dico di scrivere. “Sto scrivendo”, mi risponde. Dopo un po’ si alza dal banco e viene da me con una domanda pretestuosa. “Vai a finire – gli dico – poi controllo se hai copiato tutto”.

Torna al banco, scrive.

Alcuni suoi compagni finiscono e mi riconsegnano il tema. Anche lui. “Hai copiato tutto?” Mi conferma che ha copiato tutto. “Sei sicuro?” Mi guarda come a domandarmi se sono scemo: “Certo! Controlli pure”. Mi porge un foglio spiegazzato. Avevo detto di ricopiare sul quaderno, ma non oso chiedergli dove se ce l’ha perché non intendo creare condizioni tali da doverlo sanzionare.

I compagni di classe diventano attenti al siparietto tra noi due. Ormai sono prevenuto: “Sei sicuro?” ripeto. “Guardi!” Guardo. La prima frase c’è tutta. Anche la seconda e, seppure scritta con negligenza, c’è pure la terza. La quarta manca e arriva direttamente alla frase di chiusura. Ha “dimenticato” almeno un terzo del tema. Lo sanziono. Più per la bugia che per la svogliatezza. Torna al suo banco e non sembra nemmeno offeso. Zittisco i suoi compagni che lo apostrofano poco gentilmente.

Mi domando come sia possibile sfidare in questo modo l’evidenza. L’ho avvisato, l’ho minacciato – e l’ho fatto solo dopo aver ricevuto da lui alcuni segnali di svogliatezza – ma ciononostante non ha fatto il lavoro. Ha anche mentito. Non riesco a scorgere nelle sue azioni uno spiraglio di logica se non la svogliatezza. Ma in questo caso un allievo minimamente smaliziato terrebbe un profilo basso, in modo che la mia attenzione non venga solleticata. M. ha invece avuto l’atteggiamento opposto. Come se fosse inattaccabile.

Quando non riesco a capire qualcosa mi incaponisco. Non è questione di risolvere il problema (raramente risolvo problemi), bensì di trovare una ragione, un motivo che mi permetta di venire a capo dell’apparente insensatezza di ciò che accade.

L’atteggiamento di M. mi è parso del tutto insensato perché troppo prevedibile. Mi domando se sia consapevole di ciò che fa.

Non è certificato, non ha bisogni educativi speciali.

Ho provato più volte a domandargli perché mente. Mi guarda come se non capisse la domanda.

Al suo riguardo ho prodotto cento ipotesi e ne ho confutate cento e una.

Perché mentire se l’esperienza ti insegna che non è una tattica efficace?

Che cosa mi sfugge? Non ne vengo a capo.

Pubblicato da divarioscolastico

Faccio formazione nei CFP e nelle agenzie formative da 15 anni.